da “Il Giornale delle PMI” del 9/05/2019 – L’acquisizione da parte del Fisco dei dati archiviati da un professionista sul proprio computer è legittima anche in assenza dell’autorizzazione della Procura della Repubblica.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. Tributaria che, con una recente ordinanza, ha rigettato il ricorso proposto dal contribuente (Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, ordinanza n.6486/2019 – visibile su www.studiolegalesances.it – Sez. Documenti).
Nel caso in questione, la Guardia di Finanza effettuava un accesso presso lo studio di un medico adibito anche ad abitazione dello stesso ed acquisiva dati estraendoli dalla memoria del computer, al fine di ricostruire il volume d’affari del professionista e rettificarne i compensi. A seguito di ciò, il professionista presentava opposizione avverso il suddetto accertamento, che veniva rigettata dai giudici di primo e secondo grado.
In conseguenza del rigetto, il professionista proponeva ricorso per cassazione, lamentando l’illegittimità dell’accesso e dell’acquisizione, derivante dalla mancata autorizzazione del Procuratore della Repubblica, nonché facendo leva sull’impossibilità di eccepire il segreto professionale a causa della sua assenza al momento della verifica.
In particolare, il ricorrente eccepiva l’illegittimità dell’acquisizione dei dati per assenza dell’autorizzazione prevista dal richiamato art. 52, comma 3, del D.p.r. 633/1972 il quale prevede che “è in ogni caso necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all’articolo 103 del codice di procedura penale.”
La Suprema Corte, dunque, ha riconosciuto la legittimità dell’acquisizione dei dati archiviati dal professionista anche qualora non sussista una specifica autorizzazione del Procuratore della Repubblica. La Corte, infatti, ha chiarito che qualora il segreto professionale non sia stato opposto dal contribuente è “legittima l’estrazione della copia dell’hard disk del computer del contribuente pur in assenza della specifica autorizzazione di cui al comma 3 dell’art.52 del D.p.r. n.633/72.”.
Per converso, l’autorizzazione risulta necessaria qualora il professionista eccepisca il segreto professionale.
Con particolar riferimento alla possibilità di eccepire il segreto, la Corte ha affermato che l’assenza del professionista non rileva qualora le operazioni di accesso e verifica, come avvenuto nel caso de quo, si svolgano in presenza di collaboratori dello stesso. Ed invero, dal momento che i militari, durante le operazioni, si sono avvalsi della collaborazione del personale di studio presente “è da escludere che detta operazione sia equiparabile ad apertura coattiva dei contenitori indicati nel comma 3 dell’art. 52 del D.p.r. n. 633/1972, che necessita dell’autorizzazione ivi prescritta”.
Tale conclusione si pone in armonia con quanto previsto dal summenzionato art.52, il quale prevede la necessaria presenza dell’autorizzazione dinanzi ad aperture coattive.
Alla luce di quanto esposto, appare evidente che l’acquisizione da parte del Fisco dei dati archiviati dal professionista non determina alcun tipo di violazione in assenza dell’eccezione del segreto professionale da parte del professionista.
Dott.ssa Francesca Montevero
Avv. Matteo Sances
www.studiolegalesances.it
www.centrostudisances.it
link: https://www.giornaledellepmi.it/il-fisco-puo-accedere-ai-dati-dei-clienti-del-professionista/